Osservatorio sulla giurisprudenza
Diritto alla riservatezza e sicurezza nella giurisprudenza delle Corti costituzionali e sovrastatali europee. Il caso della Data Retention Directive
di Luca Curicciati
Nella società moderna, caratterizzata da costanti e celeri sviluppi tecnologici, comprendere in che modo si possa tutelare adeguatamente il diritto alla riservatezza individuale rappresenta una questione fondamentale.
La Corte EDU alleggerisce la «threshold of severity» per integrare la fattispecie di trattamento degradante (art. 3 CEDU)
Con la decisione in commento, la Grande Camera della Corte EDU si è interrogata sulla gravità che la condotta di un agente di polizia, titolare della custodia di un soggetto, deve tenere affinché sia ravvisabile un trattamento degradante vietato dall’art. 3 della Convenzione. L’approccio tenuto dalla Corte di Strasburgo, dopo una approfondita ricapitolazione delle fonti e degli istituti che ruotano attorno alla materia, è stato coerente con la precedente giurisprudenza ma fortemente estensivo del menzionato precetto.
La Corte suprema del Regno Unito su revoca della cittadinanza e sicurezza nazionale: il caso Pham
Il Sig. Pham, nato in Vietnam nel 1983 e giunto nel Regno Unito nel 1989, a seguito di richiesta di asilo otteneva il permesso di restare in territorio britannico a tempo indeterminato; nel 1995 acquisiva la cittadinanza britannica, seppur conservando quella vietnamita.
Il 22 dicembre 2011, l’Home Secretary revocava al Sig. Pham la cittadinanza britannica in forza della sez. 40(2) del British Nationality Act 1981 ovvero in quanto sospettato di essere coinvolto in attività terroristiche; peraltro, contestualmente le autorità vietnamite non acconsentivano al suo rimpatrio e non gli riconoscevano la cittadinanza vietnamita. Frattanto, gli Stati Uniti d’America chiedevano la sua estradizione affinché fosse sottoposto a processo in USA. L’Home Secretary britannico attestava la legittimità della richiesta avverso la quale Pham presentava ricorso al District Judge Nicholas Evans il quale, tuttavia, lo rigettava nel novembre 2013.
Disamina della sentenza della Corte EDU, 09/12/2014, Geisterfer c. Paesi Bassi, tra tutela degli artt. 3 e 5.1 CEDU
di Massimo Pellingra Contino
La sentenza che ivi si annota trae origine da un ricorso (n. 15911/08) presentato da un cittadino olandese, Richard Geisterfer (“ricorrente”) in data 26 marzo 2008 innanzi alla Corte, contro il Regno dei Paesi Bassi, ai sensi dell’art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
La sicurezza dei richiedenti asilo in Italia e il Regolamento di Dublino: commento alla sentenza Cedu n. 29217/12
di Beatrice Catallo
Il 4 novembre 2014 nella sentenza n. 29217/12 (Affare Tarakhal c. Suisse) la Corte di Strasburgo ha fermato il trasferimento in Italia di una famiglia afgana (padre, madre e sei figli) richiedente protezione internazionale e transitata nel Paese nel 2011 prima di arrivare in Svizzera. L’importanza di questa decisione risiede nel fatto che per la prima volta la Corte di Strasburgo si è pronunciata contro un rinvio in Italia di richiedenti asilo provenienti da un altro Stato europeo.
La Corte di Giustizia UE ritorna sull’oblio tra diritto alla privacy e diritto ad essere informati: una disamina tra diritto interno e normativa europea
(Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Grande Sezione; sentenza 13 maggio 2014, causa C-131/12)
La domanda di pronuncia pregiudiziale alla base della sentenza verte sull’interpretazione degli articoli 2, lettere b) e d), 4, paragrafo 1, lettere a) e c), 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, nonché dell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Immunità degli Stati e crimini di guerra: la recente pronuncia della Corte costituzionale
di Maria Marinello
Il 22 ottobre, con sentenza n. 238, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità – per contrasto con gli artt. 2 e 24 Cost. – delle disposizioni volte a riconoscere nel nostro ordinamento l’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile nei giudizi intrapresi per ottenere il risarcimento dei danni subiti quale conseguenza di atti configurabili come crimini di guerra e contro l’umanità. La Consulta ha dunque inteso affermare, con forza, l’impermeabilità dell’ordinamento italiano rispetto alle norme internazionali che si pongano in contrasto con i principi supremi della Costituzione e si traducano in una effettiva e non altrimenti giustificata compressione dei diritti inviolabili della persona umana.
Il diritto alla vita come diritto-sintesi dei diritti fondamentali secondo i parametri ermeneutici della CEDU
European Court of Human Rights
(Third Section, Case of Ghimp and Others v. The Republic of Moldova – 30 Ottobre 2012)
Il caso che ci occupa muove da un fatto di cronaca accaduto a Leonid Ghimp che muore il giorno dopo aver lasciato una caserma di polizia. Ghimp era giunto in caserma con un tassista con cui aveva avuto una discussione risoltasi comunque in pochi minuti ed era stato picchiato dalla polizia, con oggetti contundenti. Le percosse subite cagionavano uno stato infiammatorio purulento del peritoneo. Di quanto a Ghimp non rimaneva traccia in seno al verbale stilato al commissariato né del suo arrivo col tassista.
Violazione procedurale del divieto di tortura
Nota a margine della sentenza della Corte EDU
Otamendi Eguiguren c. Espagne del 16 Ottobre 2012
La sentenza della European Court of Human Rights che ivi si annota, relativa all’Affaire Otamendi Egiguren c. Spagne del 16 ottobre 2012, impone una riflessione sulla c.d. violazione procedurale del divieto di tortura, così previsto dai vari accordi internazionali a protezione dei diritti umani, i quali vietano la tortura nonché ogni trattamento crudele, disumano o degradante.
Si tratta di accordi già da tempo, ad esempio, in vigore per l'Italia. Il divieto è previsto sia nella Convenzione di Roma per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 3), sia nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (art. 7); già la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 poneva il divieto, pur con delle limitazioni di non poco conto (morale, ordine pubblico, benessere generale di una società democratica).
LIBERTÀ POLITICHE, ORDINE PUBBLICO E HUMAN RIGHTS NELLA CRISI GLOBALE: IL “DIRITTO ALLA PROTESTA” NEL CASO “OCCUPY LONDON” DAVANTI ALLE CORTI BRITANNICHE
Nota a margine della sentenza dell’Alta Corte di Giustizia del Regno Unito City of London v Samede & Others del 18 gennaio 2012
Il 18 gennaio 2012 la Queen’s Bench Division della High Court of Justice del Regno Unito si è pronunciata nel caso City of London v Samede and Others, emettendo una sentenza attesa per via delle implicazioni politiche e sociali sottese alla disputa giudiziaria. La sentenza è stata successivamente confermata dalla England and Wales Court of Appeal (Civil Division), con una decisione del 22 febbraio 2012, con la quale è stata respinta l’istanza per il giudizio di appello.
Il caso origina da fatti balzati agli onori della cronaca internazionale nei mesi passati, legati alle azioni dei movimenti di protesta che negli ultimi anni stanno emergendo negli Stati un tempo definiti di “democrazia stabilizzata”, quale evoluzione dei movimenti antiglobalizzazione e conseguenza della crisi economico-finanziaria che a partire dal 2007 ha colpito i Paesi occidentali. Il riferimento è ai movimenti di “occupazione” pacifica che, sulla scorta del primo e più famoso, il movimento Occupy Wall Street, si sono rapidamente diffusi in tutto il mondo: il caso in esame riguarda l’occupazione dello spazio antistante la Cattedrale di St. Paul di Londra da parte del movimento Occupy London Stock Exchange (noto anche nella forma abbreviata Occupy LSX o Occupy London), di cui Tammy Samade, citata quale prima convenuta nel caso in esame, è una dei principali esponenti.
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