di Gabriele Trombetta
Il tema della sicurezza, a partire dall’attentato alle Torri Gemelle del 2001, è divenuto centrale nel dibattito giuridico. Dopo le esperienze dei totalitarismi del Novecento, l’argomento era divenuto sacer, essendo gravato da una pregiudiziale ideologico-politica che lo escludeva dalla “agibilità” costituzionale. In questa prospettiva, la sicurezza è sempre stata letta in antitesi ai diritti, come suo “limite da limitare”. Era, insomma, la forza del Leviatano da arginare, da legare, da giuridificare.
Solo quando la sicurezza si è persa se ne è scoperto il carattere di valore fondamentale, di autentica precondizione dei diritti di libertà. Proprio perché senza sicurezza, nessun diritto può essere pacificamente esercitato. La sicurezza è, genealogicamente, all’origine dell’effettività dell’ordinamento, sicché la sua compromissione mina alle radici il patto sociale e, per rievocare Hobbes, prelude al ritorno allo stato di natura. Sembra tempo, quindi, di rivisitare la nozione di sicurezza, di riscoprirla come bene essenziale dello Stato-comunità, non arma nelle mani dello Stato-regime.
È stato questo lo sforzo di Giovanna Pistorio, con il suo volume La sicurezza giuridica (pubblicato di recente da Editoriale Scientifica). L’autrice muove da premesse classiche, in una ricostruzione anzitutto filosofica della sicurezza. Essa viene concepita non solo come sicurezza da, ma anche come sicurezza di, nella logica dello Stato sociale di diritto, così da garantire alla persona umana di agire liberamente (libera dalla paura) in consonanza con i principi costituzionali.