di Francesca Farruggia
«L’epidemia è il diavolo». Con queste parole il 28 gennaio 2020, una settimana dopo il primo decesso registrato in Cina per Coronavirus, il presidente Xi Jinping si è rivolto al suo popolo, per rassicurarlo. Se a noi occidentali il rifarsi a demoni può sembrare un ulteriore propulsore di ansia, in Cina è un paragone usuale e confortante. Appena dieci giorni dopo il discorso del Presidente cinese, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dichiarerà l’emergenza globale e nei giorni seguenti il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus sosterrà che un virus può creare più sconvolgimenti politici, economici e sociali di qualsiasi attacco terroristico, intimando: «il mondo si deve svegliare e considerare questo virus come il nemico numero uno». Così, ancora una volta, la metafora più usata di tutti i tempi – quella bellica – è riapparsa sulla scena politica e mediatica.
Abstract
The current narrative about Coronavirus pandemic uses war as a metaphor in order to facilitate its understanding. Unfortunately putting together two phenomena – war and the epidemic – whose essence is intrinsically different, is wrong and proves the need to clarify the terminological and logical confusion between “dangers”, “risks” and “threats”. Reconstructing the historic narrative about viruses, the article aims at demonstrating how an emergency such as Coronavirus is not a “threat” (contrary to what the war metaphor implies) as far as it lacks a human agent intentioned to cause a harm. Pandemic is rather a “danger” and it ought to be dealt by focusing on the crucial phase of prevention.