di Gabriele Maestri
La definitiva approvazione della legge n. 67/2014 fa concentrare inevitabilmente l’attenzione su un punto che ha scatenato un consistente dibattito: l’art. 2, che reca la «Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria», al comma 3, lettera b) indica come criterio direttivo per l’esecutivo «abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia».
L’iter della disposizione richiede alcune riflessioni sul percorso delle norme che, dal 2009 (e anche nei mesi precedenti, a partire dalle prime discussioni sul “pacchetto sicurezza” a metà del 2008), hanno riguardato l’immigrazione clandestina e, soprattutto, sull’atteggiamento della sfera pubblica in materia di sicurezza che ha accompagnato l’evoluzione normativa di cui ci si sta occupando. La disposizione di delega potrebbe segnalare l’inizio del declino di un approccio essenzialmente punitivo nei confronti di una determinata categoria di soggetti (gli extracomunitari, giunti o rimasti irregolarmente in Italia), ma potrebbe anche essere il frutto di una semplice analisi – alla portata del legislatore – sui benefici concreti apportati all’ordinamento dalla “penalizzazione” dell’immigrazione clandestina. Benefici che un occhio obiettivo faticherebbe non poco a individuare.